Femminicidio: una questione secondaria

Con la morte di Ilaria Sula e Sara Campanella, i femminicidi in Italia dal primo Gennaio 2025 sono saliti a 9. Facendo un calcolo semplice, quanto sconvolgente significa che, dall’inizio dell’anno e fino al 2 aprile scorso, una donna è stata uccisa ogni 10 giorni circa.

Di fronte a questa realtà sconcertante, un paese mediamente civile, organizzerebbe una task force per affrontare il problema. Una sorta di pianificazione emergenziale prima, e strutturale poi, basata sulla ricerca profonda delle ragioni di un olocausto bianco, per il quale le Istituzioni dello Stato, non stanno impegnandosi come occorrerebbe.

Certo lo Stato, ma lo Stato non può essere sempre inteso come un organo lontano ed etereo al quale delegare ogni responsabilità, anche quelle che noi, in quanto esseri umani, dovremmo prenderci. A volte sarebbe necessario comprendere che lo Stato siamo tutti noi, e che noi in quanto cittadini dello stesso, avremmo l’obbligo morale di essere attivi, coscienti e responsabili.

Dopo tanti anni vissuti per strada, un po’ per professione e un po’ come attivista, mi sono accorto che pochissime persone amano assumersi uno straccio di responsabilità, tramite la quale lavorare per una propria coscienza attiva, che richiede questo tipo di impegno per migliorare sé stessa. Ci imbattiamo invece nelle solite dinamiche, trite e ritrite, di linguaggi e azioni di una povertà intellettuale enorme; un deserto triste ed infinito nel quale il desiderio di non guardare mai in faccia la realtà, arriva a livelli mai registrati in altre epoche: la normalità diviene anormalità e viceversa, l’importante è non sapere, acuendo sempre più una dormienza che ormai rasenta il coma dell’intenzionalità.

Qualche mese fa, in occasione della condanna a trent’anni di Salvatore Montefusco, reo di aver preso a fucilate moglie e figliastra, i magistrati modenesi Ester Russo e Danilo De Padua, nella sentenza decisero di evitare l’ergastolo in quanto il soggetto nel momento dell’eccidio si trovava in una situazione di “comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il reato”. E’ chiaro che per un uomo di 69 anni, riceverne 30 di carcere significa morire in prigione, ma il tema è un altro: questa sentenza sancisce un precedente giuridico, secondo il quale, sotto sotto, anche per la legge, se una donna viene ammazzata in fondo la colpa è sua, perché in quanto femmina, avrà fatto o detto qualcosa che avrà scatenato nell’altro la furia omicida. Zoccola eri e zoccola rimani per una società così bigotta e perversa da condizionare un giudizio di una donna giudice. Incredibile!”

A questo punto, quali sono i passi per poter almeno iniziare ad affrontare la questione? Per come la vedo io è necessario superare il maschilismo che è intimo nella formazione culturale, sociale e spirituale, tanto di uomini, quanto di donne. Sì, perché esistono molte, moltissime donne che, negli uffici, fuori dalle scuole, nei negozi e in ogni ambito della società “pensano” come il peggiore degli omofobi, appoggiandone i falsi contenuti e ponendosi con scherno e arroganza, contro quelle donne che tentano di aprire un varco in questa coltre di ipocrisia vigliacca.

Bisogna avere il coraggio di iniziare un cammino insieme fatto di sincerità, messa in discussione e costruzione, che è necessario abbia come fondamento il rispetto reciproco. In questo paese pieno di imbecilli, c’è ancora molta gente che ti domanda se il marito o la moglie, ti permettono di avere interessi al di là di quelli familiari o di coppia; ci sono uomini che, per il solo fatto di trovarsi a lavare i piatti o cambiare un pannolino si sentono sminuiti se non peggio. Così come esistono donne che, per nessuna ragione al mondo vogliono imparare a cambiare una gomma o prendere un avvitatore in mano. Questo nefasto gioco dei ruoli, non è altro che un tentativo di non uscire mai dalla propria zona di sicurezza (e fanculo all’inglese), cercando alibi permanenti che consegnino esistenze alla religione del quieto vivere.

Siamo indietro, molto, molto indietro, ma l’unica via per combattere la straziante realtà dei femminicidi, non è soltanto quella di parlarne, ma è quella soprattutto di incarnare un cambiamento epocale di credenze.

A tutti coloro che avranno pazienza di leggere queste righe, propongo un piccolo esperimento: in coppia o in famiglia iniziate a fare una cosa, per ora solo una, che reputate essere ad appannaggio dell’altro sesso. Magari, con questa semplice esperienza, inizierete a comprendere che, al di là di tutte le parole anche in buona fede, sono le azioni che qualificano sempre le persone.