Sono un “nativo torinese” e, come tale, ho il marchio F.I.A.T nell’acido desossiribonucleico (purtroppo), per aver avuto mio padre, il padre di mio padre e di mia madre, dare circa un secolo di vita lavorativa all’azienda in questione.
Bisogna sapere che, la Fiat, qui a Turin, non è solo una fabbrica, ma è soprattutto un valore interiorizzato che ha plasmato le coscienze a sua immagine e somiglianza, sino a creare un vincolo di sangue che nessuno è in grado di rompere. La Fiat è mamma e papà, è quella che ci ha sfamato, che ci ha dato il lavoro, la dignità; la Fiat a Torino è regina e, al suo volere, si sono sempre piegati tutti. Nell’immaginario collettivo torinese, senza la Fiat non esiste nemmeno la città e, in fatti, questa città, nonostante la Fiat da tempo non sia più quella dei nostri padri e nonni, continua a scandire il tempo e le abitudini. Chiaramente la Fiat non è solo una realtà territoriale, ma anche nazionale, anzi la realtà industriale privata più importante del Paese. Chiaramente, per il sottoscritto, questa realtà è sempre stata criticata e mai accettata, a causa delle incredibili contraddizioni di chi, di giorno manifestava, mentre di notte, sotto sotto, anelava di diventare, chissà quando, anch’egli un piccolo Agnelli, con i suoi soldi, la sua fama ed il grottesco orologio sopra il polsino.
Fatto questo doveroso preambolo, il 19 gennaio 2014 vengo a scoprire che, La Fiat, non c’è più, e che al suo posto c’è la Fca, con sede legale in Olanda e sede fiscale in Inghilterra. Caspita, mi dico, ma questo è un cambiamento epocale che sconvolgerà Torino, i torinesi, gli italiani, i figli e i nipoti di mamma Fiat; certo, la Fiat che non esiste più e che se ne va da Torino è una cosa impossibile da credere ed accettare, sicuramente in questo momento il sindaco Fassino, in qualità di ultimo baluardo di Fiat e San Paolo, sarà già aggrappato al pennacchio della bandiera del Municipio; I giornalisti della redazione regionale del TG3 con in testa Gian Franco Bianco, avranno, certamente, iniziato una serie di inchieste per scoprire questo osceno complotto; le unità coronariche degli ospedali saranno affollate di pensionati Fiat in balia di attacchi cardiaci; l’economia della città sarà allo sbando ed il caos sarà la regola dei prossimi tempi in città.
Mentre sono in macchina in direzione del quartiere Mirafiori Sud dove ha sede il Centro anti crisi del quale sono attivista, accendo la radio per sapere le ultime sui possibili disordini sociali creati dall’evento epocale: Radio 1, 2, 3 niente; allora provo con Radio Radicale e Tg Parlamento e anche qui nulla; disperato provo con Radio 24, certo di trovare notizie, nulla, si parla di spread.
Vabbè, forse ancora l’informazione non ha raggiunto i massimi mass – media, però, sono sicuro che, di fronte ai cancelli di “Mirafiori”, saranno di già presenti migliaia di dipendenti ex Fiat, con striscioni, canti e momenti di auto organizzazione; Si, si, vado, tanto devo passarci per “Mirafiori”. Sono quasi emozionato, tra breve incontrerò gli antichi fasti della lotta operaia: un tuffo nel passato, per riprenderci il futuro. Arrivo, eccomi qui. Non c’è nessuno! L’immensa costruzione della fabbrica sonnecchia come da trent’anni a questa parte; nel vicino corso Traiano la vita scorre come sempre e nei bar si continua a discutere di calcio. Di rivolta sociale nemmeno l’ombra, nemmeno un operaio da solo con un cartello al collo. Inizio a pensare di essere il solo indignato della terra ed un rigurgito di risentimento per il mondo mi coglie.
Ma non mi arrendo, sicuramente la signora Camusso avrà indossato il basco di “guevariana memoria” e, statuto dei lavoratori alla mano, sarà andata a coinvolgere Bonanni e Angeletti in una nuova versione del Granma cubano, con sbarco sulle rive del Po, zona Moncalieri. Poi, figurati Landini della Fiom, avrà già formato un esercito di rivoluzionari che adotta il monte Musinè, come Marcos adottò il Chapas.
Fermo l’auto, ed entro di corsa in un internet point e mi metto al computer, voglio assaporare i programmi dei diversi leaders in vista dei prossimi mesi di lotta.
Camusso: “Preoccupa che Fiat paghi le tasse in un altro Paese” – “Preoccupa che un gruppo come Fiat decida di andare a pagare le tasse in un altro Paese facendo un’operazione anche qui di impoverimento.” Accidenti, la signora Camusso è preoccupata e finisce lì.
Angeletti: “”Non è una fuga, è una nuova azienda: abbiamo una nuova Fiat.” E noi vorremmo avere un nuovo segretario.
Bonanni: “Chi critica la Fiat per quello che fa in Italia dice bestialità, perchè credo che sia l’unico gruppo importante che investe miliardi su miliardi in Italia.” Il problema di questi anni, invece, e che non ci sono stati sindacalisti importanti.
Non navigo più, tanto è inutile, in Italia non esiste nessuna rivolta per la questione Fiat – Fca. Tutti concordi nell’accettazione passiva di questo; ma ho potuto illudermi del diverso? Come ha fatto il mio ingenuo cervello, credere che l’indignazione, per una volta, potesse superare l’indifferenza?
Mi sento un marziano, uno che è obbligato a sentirsi anormale soltanto perchè questo mondo è anormale. Rientro in auto e mi fermo, ancora una volta, di fronte a “Mirafiori” e, nel scendere, contemplo ciò che ha rappresentato questa fabbrica, le centinaia di migliaia di vite passate per quei cancelli, le paure, le speranze; ma anche nel momento in cui mi esercito in queste riflessione, mi sento un marziano, il marziano di Mirafiori.