Lettera aperta ai sindacati di Polizia sul caso Cucchi

Cordiali dirigenti del Sap e del Sappe, mi rivolgo a voi in qualità di semplice cittadino, quale io sono, per cercare di far prevalere le parole, alle reazioni istintive del momento; certo un’operazione non facile e molto delicata.
Con questa lettera non intendo ripercorrere le fasi processuali o analizzare responsabilità, non ne ho le competenze e, nemmeno, risulta essere, per me, interessante; per questo esistono gli inquirenti.
Vorrei, invece, cercare di analizzare la parte umana, quella che, purtroppo sempre in più casi della vita di oggi, viene messa in secondo piano, lasciando spazio alla frustrazione e al risentimento.
Ci troviamo di fronte ad una morte che, ad ora, sembra non avere responsabili, anche se tutti ci troviamo concordi sul fatto che, Stefano Cucchi, non si sia ridotto in quel modo, con le sue mani. Una persona entra in carcere viva e ne esce morta; un caso questo che ricorda la morte del presunto mafioso Salvatore Marino, entrato nella questura di Palermo vivo ed incensurato, e uscito cadavere, dopo essere stato torturato ed ucciso dagli uomini del Vice questore Cassarà. Casi e momenti storici differenti, persone con storie diverse, ma la sostanza è la stessa: un libero cittadino muore mentre è nelle mani di uno Stato che diviene aguzzino, invece che essere garante di Diritto. Al di là di ogni interpretazione, questa, è la fredda realtà della cronaca.
Esiste, poi, quella parte che è, per il mio modo di intendere le cose, aberrante ed inaccettabile, di giudicare gli eventi e le persone con la superficialità del pregiudizio: “Era un tossico, e se l’è andata a cercare, “Se fosse stato un ragazzo per bene, nemmeno ci sarebbe finito in prigione”, e via dicendo; ragionamenti stantii di un popolo in cancrena, che ha deciso di non sapere, di non approfondire e di non vedere, perché non c’è tempo, non c’è interesse, perché esiste la TV che è così pronta a raccogliere la mia delega di cultura.
E’ importante analizzare il momento storico italiano, anche nella brevità di una lettera, per comprendere ciò che in un regime di normalità, sarebbe impossibile comprendere. Eccomi, allora, riferirmi a voi sindacalisti di Polizia, assicurandovi il mio tentativo di non fare di tutta era un fascio, perché sono certo che, anche all’interno del Sappe e del Sap, esiste un dibattito sul Caso Cucchi.
Voi dirigenti del Sap, come abbiamo letto in ogni dove, subito dopo la sentenza (a parere di chi vi parla vergognosa), avete commentato che:”Chi intraprende una vita dissoluta, ne paga le conseguenze”; detta così sembra un ammissione di colpa, perché vorrebbe dire che, chi si trova per una ragione o per l’altra ad aver a che fare con la Giustizia, deve stare attento, perché potrebbe finire come Stefano. Chiaramente non intendevate dire ciò, ma attenzione a come si usano le parole e specialmente quando, perché è proprio sul come e quando, che dovremmo un po’ più spesso dare attenzione. Insomma, era davvero indispensabile parlare in quel modo, riferendosi ad una famiglia che, oltre ad aver perduto in quella maniera così feroce un proprio caro, non ha nemmeno ricevuto  Giustizia. Diciamocela tutta, per difendervi da una possibile deriva nei vostri confronti, perchè conosciamo tutti il meccanismo del capro espiatorio, avete deciso per un attacco preventivo, scatenando, in questo modo sì, ciò che volevate evitare: la deriva violenta e anch’essa qualunquista che, tanto per fare un esempio, sta riempiendo i social. Avete sbagliato, avete usato lo stomaco e avete dato il la all’odio.
Discorso simile ma, a parer mio più grave perché si è passati alle vie di fatto, devo farlo per voi, dirigenti del Sappe che, oltre ad aver reagito nella stessa maniera di cui sopra, avete addirittura querelato la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, per istigazione all’odio. Scusate, ma non pensate che, gettare benzina su di un fuoco già molto vivo, non sia istigare odio? Voglio dire, esisteva come necessità assoluta di difesa dei lavoratori da voi rappresentati, reagire con una querela, nei confronti di una donna la cui pelle brucia ancora per quella sentenza? No, non credo fosse necessario, ma questo è il momento storico delle urla, della violenza e della disumanizzazione con la quale chi più chi meno, dobbiamo fare i conti.
Egregi signori del Sap e del Sappe, è tempo di reagire in un altro modo, in quello in cui la ragione vinca sulla rabbia, per poter dare un’occasione alla vita e al futuro. Siete e siamo tutti ancora in tempo per fare un passo in avanti in direzione della riconciliazione e della Giustizia, una Giustizia intesa come reciproca collaborazione per giungere ad una verità che, oggi, non esiste. La mia preoccupazione centrale è capire, come uomo, come padre, come cittadino, le responsabilità che hanno condotto una persona alla morte, e non cercare di far di tutto affinchè, quella tremenda responsabilità, sia da addossare al medico o al poliziotto di turno.
Si tratta di fare un lavoro complesso: cercare di immedesimarsi nella famiglia Cucchi, con profondità, con trasporto e con verità, tentando di capire come avreste voluto reagisse un sindacato di polizia se, al posto della famiglia Cucchi, ci foste stati voi. Io non credo avreste desiderato essere insultati prima e querelati poi. Certamente avreste desiderato comprensione e protezione. Pensateci e pensiamoci ogni volta che ci accingiamo a prendere una qualsiasi decisione, perché, questa, mai e in nessun caso non avrà conseguenze sugli altri.
Un ultima cosa inerente “la dissolutezza della vita”. Certo non amo la droga, detesto chi la spaccia e cerco di capire chi la consuma ed è chiaro che, chi cede al degrado fisico, ha ceduto alla parte buia dell’esistenza.
Ma siamo sicuri che, soltanto ciò che la società ci vende come negativo, sia  l’unico aspetto tale da prendere in considerazione per giudicare negativamente questa o quella situazione?
La dissolutezza della vita, non si concretizza anche, nel porre il denaro come valore centrale, nell’esasperazione di intere giornate passate in una sala scommesse, nell’avere un conto corrente in una banca che appoggia il mercato degli armamenti, nel non essere mai disponibili a cambiare idea e a mettersi in discussione, nel voltare le spalle a chi ti chiede aiuto, nella visione individualista della vita, dal rifiutarsi di leggere un libro, dal punire i figli con uno schiaffo, e così all’infinito? Pensiamoci tutti e pensate voi, che oggi avete puntato il dito del giustizialismo a buon mercato, su una famiglia distrutta dal dolore e dal concetto stesso di giustizia. Forse anche a voi, un giorno dovremo dire grazie, grazie per aver risvegliato il senso di giustizia e di sdegno in questo povero Paese in preda al sonno più profondo.
Con rispetto
Ivan Marchetti