Mio padre raccontava spesso il fenomeno migratorio dal Sud al Nord d’Italia. Ne era stato testimone diretto sia come cittadino che come lavoratore presso la Fiat. Raccontava mio padre, ed io ascoltavo, perché mi interessava capire le ragioni per le quali molte famiglie dell’epoca si erano viste costrette a lasciare i luoghi in cui erano nati e vissuti, nei quali possedevano una storia personale importante. Ecco, quello che mi colpiva di più era il distacco dalla propria storia. Cercavo di immedesimarmi in quello che, per me, era un’esperienza traumatica, ed ogni volta che ci provavo, sentivo salire un grande senso di ingiustizia, accompagnato da un sentimento di commozione sincero. Ero un ragazzo e credevo ancora che, chi era stato insultato, offeso e discriminato, non potesse applicare lo stesso comportamento che aveva subito. Poi, una volta uomo, ho appreso che non è affatto così: la discriminazione dei discriminati è, se possibile, anche maggiore. Non per questo, nonostante l’incedere del tempo, ho mai accettato questa realtà che considero ignobile.
Crescendo ho fatto le mie scelte ideologiche e ho abbracciato il Nuovo Umanesimo, praticamente l’ideale più difficile in tempi di oscurantismo come questi. Ho scelto una parte. Quella dei discriminati, dei dimenticati, del maltrattati e degli oppressi. Gli ultimi, sia d’occidente che del Sud del mondo. Non potevo e non posso credere che esista altra via che questa. Il resto non è altro che una bella recita, che ci concede il nostro mondo opulento, popolato di alibi, mezze verità, menzogne e ipocrisie di ogni genere.
Da quando, negli anni 90, il nostro Paese fu protagonista di flussi migratori epocali, come quello dall’Albania, mi sono sempre trovato nella spiacevole condizione di dover sostenere la solita discussione con coloro che si erano scordati i bei tempi andati, quelli della valigia di cartone. Erano e sono i calabresi, i pugliesi e i siciliani più ortodossi nel perorare la giustezza della loro migrazione e lo scandalo dell’immigrazione extracomunitaria, termine sostituito totalmente con la parola migrante, in una visione political correct solo sulla carta e non certo nei fatti.
Sono quelle persone che non hanno voluto emanciparsi dalla loro condizione di immigrato, cercando di coltivare la memoria e approfondire la storia che li portò lontano da casa. Loro no, non hanno fatto tutto questo, perché costava fatica, impegno e messa in discussione. Una coltre d’oblio è stata applicata con metodo nel tentativo di innalzarsi fintamente sopra il ricordo della miseria, della violenza subita nella vergogna della frase “Non si affitta casa a meridionali”; nelle porte chiuse in faccia; nella durezza di vivere in 8 in una soffitta di pochi metri quadri. Rifiutati dai torinesi, dai milanesi, dai genovesi, che li consideravano animali, buoni per rubare lavoro, portare la mafia e coltivare la cicoria nella vasca da bagno.
Insultati, ridicolizzati e umiliati nel peggiore dei modi, piano, piano, son riusciti a farsi una posizione nelle grandi città del nord, tramite la fatica del lavoro doppio e triplo. Oggi, molti di quei personaggi e i loro figli, sono diventati strenui sostenitori del salvinismo. Quella “corrente di pensiero” (ci scusiamo col pensiero per averlo fatto cadere così in basso) su cui poggia tutta la struttura che si racchiude nell’odioso slogan “Prima gli italiani”. Come se gli italiani si riconoscessero in un patriottismo sano, positivo ed identitario, anziché nelle pastoie di un neo razzismo per nulla disponibile ad essere informato sulle conseguenze storiche del colonialismo, troppo impegnato a perdersi in concetti elementari supportati da un mare di congiuntivi sbagliati.
Io parlo di coloro che non provano umana pietà per le carrette del mare, per i respingimenti, per madri che partoriscono nel mezzo del Canale di Sicilia. Parlo di quei meridionali che la valigia di cartone se la sono dimenticata e che sono spietati con i detentori di nuove valigie di cartone, provenienti dal Sud del mondo. Parlo di loro e della loro viltà che li avvicina ai nuovi fenomeni fascisti del populismo che, a loro, calzano a pennello, perché basati sulla superficialità e sulla paura: le condizioni, cioè, che hanno sempre adottato nel corso delle loro vite.
Guardando le foto delle stazioni ferroviarie delle grandi città del Nord, durante l’esodo, possiamo scorgere i volti di persone piene di speranza, in un’idea rinnovata di futuro, come è giusto che fosse, perché dovrebbe essere sempre giusto avere accesso ad un futuro migliore. Ora pensiamo se, tra via Sacchi e corso Vittorio Emanuele II (le strade che confinano con la stazione di Torino Porta Nuova), i meridionali migranti invece di trovate un autobus o un parente che potessero accompagnare loro in città, avessero trovato l’esercito ed un Governo che imponesse loro di non uscire dalla stazione e ne avesse ordinato lo smistamento in altre città o capitali d’Europa? Pensiamoci e lo pensino i migranti di ieri, fatti entrare nelle città opulente del Nord, non per amore, ma perché le fabbriche avevano bisogno di nuovi schiavi, da sfruttare, da far ammalare di silicosi e da spremere fino alla morte, pur di produrre una quantità di oggetti che, gli stessi schiavi, anelavano e volevano a tutti i costi, soltanto perché qualcuno di molto furbo e spietato, diceva dagli schermi di Carosello che la macchina nuova e l’elettrodomestico, davano alla tua vita un valore. E’ la solita storia della vittima che si fa carnefice e che lava le sue paure e frustrazioni più profonde sul più debole. L’atteggiamento del vigliacco che è forte solo quando sta nel branco.
Coloro che pregavano, che si definivano devoti alla Madonna di questo e quest’altro, appena hanno avuto la possibilità di trovare un meridionale più meridionale di loro, non hanno perso tempo, iniziando la pratica dell’intolleranza e della violenza. Cercando poi, per anni, di parlare con questi soggetti, non sono mai riuscito a cavarne un ragno dal buco, e la cosa che mi ha sempre molto preoccupato è che, anche i loro figli erano stati contagiati dallo stesso virus.
Sto parlando di una malattia grave che passa sopra la pietà, la comprensione, che massacra l’umanità, che spinge all’individualismo e alla morte della cultura che ha, tra le sue radici, la memoria storica. La memoria è importante perché ti aiuta a comprendere da dove vieni è quale strade ha preso la tua vita, in relazione a quei precedenti personali. Invece no! Si riduce tutto, tutta la storia dell’umanità e del suo lungo cammino, nel “devono tornare al suo paese”.
Certamente molti hanno scelto il letargo permanente del cervello, mentre altri hanno integrato, compreso e insegnato ai loro figli il rispetto e la dignità, la coerenza ed il significato di compassione. Una minoranza, certo; uno sparuto gruppo, certo; un gruppo coriaceo e fallimentare, certo. Ma presente, che non si può far finta non esista. Oggi quel gruppo è di fronte alla nave Diciotti, come lo era di fronte ai C.I.E. o in piazza contro ogni razzismo e legge liberticida. Di fronte, sempre di fronte alla stupidità del potere e delle sue leggi violente che divengono ancora più violente quando trovano un terreno fertile, quello dell’ignoranza e della paralisi del pensiero, appunto del salvinismo o del renzismo o del berlusconismo.
Per finire mi appello a tutti voi, discriminati di ieri. Cercate di aprire i vostri cuori, le vostre menti e i vostri occhi, sapendo che, facendo questo, guadagnerete in rispetto per voi stessi e per tutti coloro che, come voi, esattamente come voi, stanno cercando soltanto di avere un futuro. Prendete i video, i libri e i documenti della vostra epoca di migranti e comparateli con i video, i libri e i documenti di questa nuova epoca di migrazione. Perdete tutto quel mare melmoso di pregiudizi e cercate di valutare serenamente con il cuore leggero e la mente pulita. Vi accorgerete che, l’unica cosa che è cambiata, è la data e l’ora, ma tutto è rimasto immutato. Allora, alla luce di questo, quale potrà essere la constatazione finale? Probabilmente che, una volta liberi dalle nostre paure più profonde alimentate dai generatori di odio, saremo finalmente pronti a tendere una mano. La mano di un ex migrante, verso un nuovo migrante. Forse l’unico modo di sconfiggere coloro che vogliono, per mantenere il potere, metterci sempre gli uni contro gli altri.