Ci sono atti dell’essere umano che prescindono da qualsiasi cosa; non dico dal raziocinio, dall’intelletto o lontani dalla normalità, no, sono eventi che travalicano l’umanità, il senso stesso di percepirsi umani.
La tragedia che ha colpito la nostra città, che ha visto uccidere un bambino, gettato dalla finestra, già aveva creato in me, come in tanti altri, orrore, un profondo ed inenarrabile orrore, una sensazione claustrofobica e definitiva.
Mi sono interrogato più volte sulle cause che portano una madre ad uccidere il bambino appena partorito, e davvero mi sono trovato spesso in un vicolo cieco. Forse non c’è spiegazione. Forse risiede in regioni così intime, da non poter essere scoperte nemmeno da chi ne è il custode. Certo, in questi giorni l’emozione è stata molta in città ed alcuni in un momento di rabbia giusta, mossa da un’indignazione senza fine, si sono lasciati andare all’insulto, alla condanna e alla minaccia. Posso capirlo, ma non possiamo mentire sul fatto che c’è di più e che è necessario riflettere molto attentamente sull’accaduto.
Che cosa sta succedendo alle nostre vite? Perché ci sentiamo sempre più sotto pressione e sempre meno fautori del nostro destino? Perché non riusciamo ad avere rapporto umani normali e ci perdiamo nel non senso di vite senza uno scopo?
Tutti noi siamo il risultato di una storia e di una cultura che, in noi , ha la sua continuazione, come se nulla fosse possibile mettere in discussione per poterne deviare la sua dinamica. Forse è proprio questo il tema: il sentirsi inerti di fronte al cambiamento. Non crediamo possibile rompere una dinamica, una meccanica esistenziale, semplicemente perché da sempre è stato così, e sempre così sarà.
Molte volte ci sentiamo soli con i nostri problemi, pensando che i nostri problemi siano solo nostri, mentre non pensiamo che l’umanità intera, alla fine, soffre più o meno per le stesse cose. Certamente i problemi iniziano ad essere molti e i punti di riferimento del passato non resistono, fino a quando ti trovi travolto dagli eventi ed incapace di dare risposte normali e di buon senso. Qualcosa si rompe dentro e si è capaci, a quel punto, di qualsiasi cosa, anche la più mostruosa.
Molti di noi sono pronti, pur di non affrontare le proprie responsabilità, a puntare il dito verso la società, lo Stato, l’extracomunitario, Dio, e tante altre cose; ma la verità è un’altra: quello che ci succede o non ci succede, dipende da noi, dalle scelte che si fanno, dall’opinione che abbiamo di noi stessi e da come abbiamo impostato le nostre vite e dalle credenze che abbiamo deciso di adottare.
Ecco che, tutto quello che ci è stato inculcato sin da piccoli: il lavoro fisso, il conto in banca, il fidarsi il meno possibile degli altri, l’avere pochi amici, i parenti serpenti, il fatto che nessuno fa niente per niente, primo o poi chiede dazio e a volte quel balzello fa letteralmente scoppiare la testa. Si sente che, quelle credenze non sono tutto, che c’è qualcosa che va oltre il materialismo, e si vorrebbe tanto alleggerirsi da quel carico di sensi di colpa e iniziare a volare ed essere aperti al mondo. Qualcuno ci riesce tra mille difficoltà, mentre altri, non ce la fanno, si arrendono e non trovano il coraggio di fare un passo evolutivo.
Io penso che, siano queste le situazioni che portano al compimento di atti mostruosi, come quello che ha visto la morte di Giovanni.
Il Comune di Settimo ha deciso di organizzare i funerali del piccolo, proponendo che il suo nome sia Giovanni Di Settimo, perché “i genitori”, non lo hanno riconosciuto legalmente. Ecco, questo fatto è, se possibile, ancora più grave dell’omicidio. E’ un atto che consegna la persona ad uno status di bestia umana.
Come cittadino accolgo l’iniziativa del mio Comune in questo senso e sento di dover ringraziare il Sindaco, per aver cercato di creare una speranza sulla pelle della mostruosità.
Ivan Stanislav Petrov Marchetti