La strage e le generazioni

Quel 23 maggio 1992 mi trovavo a Milano; avevo deciso di stabilirmi li e di condividere il resto  della mia vita con una giovane ragazza di 18 anni che mi faceva battere il cuore da morire e rendeva i miei giorni intensi e felici.

Ero prossimo ai 23 anni, spiantato come sempre, pieno di passione, con tre lavori per potermi mantenere : il venditore di biancheria porta a porta, il cameriere in un pub e l’autista di un commercialista; ma i soldi non bastavano mai, la mia auto dell’epoca, un 127 sport nero, ne bruciava troppi e, l’andare e venire per tutta la Lombardia in settimana, riduceva le mie risorse quasi a zero, anche per il fatto che, i genitori della mia ragazza ai quali ero inviso per il mio modo “essenziale” di interpretare la vita, non mi concedevano né vitto e né alloggio.

Ricordo il caldo, un’allergia al polline che non mi dava tregua e la grande stanchezza portata dalle tre ore di sonno che mi potevo permettere; ricordo la grande metropoli milanese che, non fosse stato per l’amore, avrei abbandonato subito in direzione di Torino, la mia casa, il posto in cui il mio cuore risiede.

In questo contesto, un venerdi sera, il fragore di un’esplosione sull’autostrada per Palermo, arrivò in ogni dove, anche ai sentimenti di un giovane torinese in cerca di futuro. Fu sconcertante la visione dell’attentato di Capaci in TV; in 23 anni di vita non mi ricordavo nulla di simile. Certo, c’era stata Bologna, la strage di Natale, l’autobomba a Rocco Chinnici, ma mai un attentato del genere, un evento studiato con una tecnica militare accurata e sconvolgente:piazzare 500 chili di tritolo in un canale di scolo, e farli brillare al passaggio delle auto di scorta, per uccidere un giudice, il giudice Giovanni Falcone. Mi apparve, sin da subito, un atto esagerato, un atto, cioè, non solo riferito al giudice stesso, ma alla ripresa della famigerata “strategia della tensione”. Con quel tragico evento capii che la speranza di vivere in un paese che potesse dare un’occasione ad un giovane come me, finiva li e che, i tempi a venire sarebbero stati difficili, come di fatto è successo, fino ad arrivare allo sfacelo dei giorni nostri, dopo un ventennio di menzogne, ruberie e catastrofe esistenziale.

Poi, qualche mese dopo, la storia con quella giovane di 18 anni finì, ed io tornai addolorato a Torino, pieno di rabbia e delusione, impreparato a gestire il brutto della sconfitta che non ha età, e che lascia l’amaro in bocca sempre. Giorno dopo giorno, in ogni caso, riuscii a riprendermi, e la vita si diede un’altra possibilità e poi ancora una, sino a credere che, la vita stessa, è il dono, e quello che ci sta attorno, rappresenta il compito di coloro che lo interpretano e lo credono come positivo o negativo, costruttivo o distruttivo.

Iniziai ad interessarmi di politica, del fenomeno mafioso e degli intrighi dei poteri forti, usando la figura di Giovanni Falcone, come un esempio non di martirio e nemmeno di coraggio, ma del tentativo di andare al di là di ciò che, in quel determinato momento storico, è venduto come la realtà ufficiale, alla quale tutti hanno il dovere di credere. Falcone per me rappresenta proprio questo aspetto:aver detto no all’ipocrisia che, per fare solo un esempio, affermava che la Mafia non esisteva e che era un’invenzione giornalistica. E’ un esempio che va oltre il suo ruolo, Cosa Nostra e il martirio; è un esempio, direi, esistenziale e che ci aiuta a capire che c’è speranza quando si decide di possedere un cuore ed un intelletto limpidi, e lontani anni luce dal servilismo becero di chi non vuole sapere e capire.

Oggi che ho quasi  44 anni, non ho cambiato di una virgola il temperamento che possedevo a 22; mi aiuta ad essere ancora pieno di passione come allora. Certo, dovendo proprio analizzare fino in fondo il susseguirsi di questi ventuno anni, mi accorgo che, allora, mi venne a mancare un esempio e un riferimento di qualcuno più grande di me (a parte mio padre, è ovvio,), col quale cercare di costruire qualcosa e di rivalutare le responsabilità della generazione prima della mia. Per questa ragione, promisi a me stesso che, una volta raggiunta un’età intorno ai 40 anni, non mi sarei comportato con la sufficienza con cui i quarantenni mi stavano trattando, ma che avrei cercato di fare un passo in più. Ed è incredibile come la vita, se lo vogliamo, ci dia una possibilità di misuraci con noi stessi. Da qualche tempo, all’interno di Freedom  Forever, l’associazione umanista della quale sono attivista, ha iniziato a partecipare un giovane di 21 anni, Matteo, un ragazzo molto in gamba, con cui si condividono cose importanti, almeno per me.

Quando è arrivato ho subito capito che dovevo stare attento a non fare il più grande errore che si fa con i giovani : trattarli dall’alto verso il basso, facendo loro  pesare i tanti anni di differenza. Un errore questo che uccide immediatamente ogni possibilità di relazione e interscambio generazionale. Lo trattato come un uomo, perché penso che lo sia, anche se di giovane età. Nell’associazione c’è un altro personaggio a se stante e molto alternativo, cioè una persona normale in tempi di anormalità : Giorgio, anche lui ultra quarantenne, anche lui attento agli errori generazionali.

Il Centro anti crisi di quartiere di Torino che, da poco, abbiamo fondato, è stato il laboratorio prima, e la prova dopo, di come le generazioni possono, non solo coesistere, ma appassionarsi insieme in una sorta di aiuto reciproco e reciproco rispetto. Ci siamo trovati insieme nel creare dal nulla un luogo, e lo abbiamo fatto non con le parole, ma con le azioni, con la tinta sui muri, con le pulizie, con gli aggiustamenti, con lo sgombero della cantina e con l’organizzazione di tutte le attività connesse al centro stesso.

Non so se per Matteo, Giorgio ed io saremo mai dei punti di riferimento e nemmeno anelo a questo, però sono certo che, l’essersi accorto che due “vecchi” siano stati insieme a lui, lo abbiamo ascoltato e non l’abbiano mai discriminato, sia importante e prezioso, sia un elemento che può dare futuro.

Per finire, il modo oggi ha bisogno di esempi morali, di persone che, nella loro semplicità, gridino forte il bisogno di normalità e dignità. Ecco perché il 23 maggio di ogni anno si ricorda la figura di Giovanni Falcone.