UN’OCCASIONE PERDUTA. Lettera aperta a Gianpiero Ventura

Chi può dire di non essersi commosso durante il giro d’addio di Rolando Bianchi dopo la partita con il Catania?
Erano anni che non mi emozionavo così tanto e che, nel frattempo, non sentivo un grande senso di ingiustizia (almeno nel campo calcistico). L’ingiustizia nei confronti di una persona che, la maglia granata, la amata davvero e che, non si sa perchè, è stato obbligato a lasciarla.
Fatto questo doveroso preambolo mi riferisco a lei, mister Ventura, e non certo alla “società” che ha dimostrato tante volte la sua sordità nei confronti della piazza, questione Filadelfia prima di tutto.
Il vero responsabile del “pasticcio Bianchi” è lei, non per le sue convinzioni tattiche, o per il modulo, o per questo e quell’altro ma, ne sono convinto, per il suo leaderismo senza senso, che si palesa in un fastidio endemico nel ricevere critiche e nel condividere la “simbologia del timoniere” con qualcun altro che non sia lei, in questo caso con Bianchi, capitano e timoniere vero, al di là delle molte traversie vissute in questi anni.
Sono deluso per il modo in cui certe decisioni vengono prese, in quel modo cioè, che non prevede il rispetto altrui, il misurarsi con l’altro, il sentire l’altro come una persona e non come un calciatore, un ricco o un professionista di sorta. Ecco, quella che è mancata in questa triste vicenda, è stata un briciolo di umanità, quella che aiuta a rimanere umili, anche quando si posseggono molti denari e si è personaggi conosciuti.
Certo, parliamo del calcio, di una delle parti della società più degradate e squallide, in cui l’unico dio è il profitto, l’apparire e l’esteriorità estremizzata nello sfarzo e nell’ignoranza dei suoi interpreti. Mi sembra che su questo punto non ci possa essere dibattito, ed è proprio alla luce di questo che, una volta trovata una persona degna che, certamente, si è elevata al di sopra di questa immondizia esistenziale, cosa fa l’illuminata dirigenza granata con lei come capo fila? Lo caccia, caccia il simbolo granata degli ultimi dieci anni; la persona che scende dal pulman che sta partendo perchè vede un bambino in lacrime rimasto senza l’autografo, scende e lo consola. Certo per le logiche del profitto sia esso di immagine che di vil denaro, queste cose non contano, contano i risultati di una salvezza che lei ha raggiunto con quello squallido spettacolo della partita contro il Genoa, per il quale sarebbe doverosa un’inchiesta della giustizia sportiva.
Quando è arrivato al Toro, devo confessarle che la cosa che mi colpì di più, fu quel suo racconto che la vedeva conversare con un tassista granata, che le chiedeva di aiutarci a tirare fuori dai cassetti le nostre bandiere. Mi appassionò la sua capacità di dialogo a viso aperto con noi tifosi, e per questo sento di ringraziarla. Poi, in serie A qualcosa si è rotto, e quello spirito così positivo è venuto meno, fino ad arrivare al Genoa e al Bianchi che, nella partita d’addio, parte dalla panchina. Un’umiliazione, una scorrettezza, il gesto di una persona, lei, che si è dimostrata piccola e non all’altezza di ricoprire il ruolo che fu di Giagnoni e Mondonico; loro non lo avrebbero mai fatto, lei si, e sta qui la differenza tra chi ha capito cosa significhi sentirsi il Toro dentro, e chi no.
Visto che, purtroppo, dovrò rivederla su quella panchina ancora per un anno, lasci che le dica una cosa:”Lei possiede una grande fortuna, quella di essere approdato in una realtà che trascende il calcio e che si manifesta in luoghi lontani dall’effimero, che incarnano nel loro perpetuo movimento verso l’amore, una passione sconfinata e assoluta, una passione che, soltanto coloro i quali vivono questo sentimento col cuore pulito e vero, possono comprendere in profondità”.
Con tutto il rispetto le consiglio di aprire il suo cuore e di percepire i battiti forti di chi si sente granata di chi, in fin dei conti, si è visto cadere una lacrima di fronte ad un uomo di tent’anni che, quei valori ha rappresentato e vissuto totalmente.